LA SCALA

Quando sentivo dire che si andava alla scala, subito cominciai a pensare che venivano da me, e che avrei avuto successo: tutti alla scala! Ma poi, la delusione: la scala non si riferiva a me, ma ad altro! Devo imparare a fare i gradini, a salire e scendere dalle situazioni un poco alla volta - gradualmente, appunto - e a non inorgoglirmi d'istinto primordiale, appena parlano di me. Porto in alto e riporto in basso, e grazie a me si raggiunge l'altezza desiderata con comodità, si sistemano le cose in alto, e poi si scende in sicurezza. La mia vocazione è quella di accompagnare gradualmente e in sicurezza coloro che vogliono farsi aiutare da me. Ogni gradino salito è conquista, ogni gradino disceso è garanzia di esperienza fatta. Allora, scalatemi come le montagne - perché queste ora umilmente ma chiaramente rappresento - e ritornate a terra, alla base più contenti e sereni, grazie a me, che vi aiuto a fare quello che occorre anche più su delle vostre possibilità, oltre il vostro limite umano.

LO SPECCHIO

Rifletto, rifletto, ma ogni volta non accetto quello che appare, perché sono lo specchio solo delle mie brame, dei miei desideri; che se non corrispondono a quello che appare, non accetto su di me. Più che di riflettere, forse ho bisogno di flettere, di abbassare quell'io che si inorgoglisce appena faccio da specchio. Sono orgoglioso della mia riflessione, e mi esalto con essa, invece di abbassarmi e lasciare che essa, facendomi apparire per quello che sono, mi dica la verità. Sono lo specchio delle mie brame, non della realtà e della verità che non voglio accettare; sono il più bello del reame, senza guardare nello specchio, ma quasi pretendendo che esso faccia apparire quello che non sono. Sono forse uno specchio deformante, ottenebrante, illusionista e che nasconde a se stesso quello che è: riflesso. Vorrei essere io quello che riflette, invece di essere quello che è riflesso. Devo forse capire che non sono io la verità, ma soltanto il suo riflesso, non sono la realtà, ma solo la sua riflessione.  Devo iniziare a riflettere meglio questa cosa...

LA LAMPADINA

Ciao a tutti, sono Dina la lampadina, e sono sempre accesa e spendente, illuminante per tutti e a volte per niente; sì, perché se a volte sono gradita, a volte nessuno c'è e mi tiene in considerazione. Per cui le mie idee brillanti e intuitive per l'umanità vengono scartate e poco apprezzate, specialmente parlando di corrente da pagare e da consumare. A causa del consumo, nessuno più mi cerca pensando che io cerchi di far loro pagare la mia attività. Eppurce, son nata come idea e brillante a gratis, intuizione da cogliere per ottenere produzione dal nulla. Ma ora, chi mi crede? Tutta l'elettricità è soggetta a pubblicità e al soldo della bolletta, che solo al nominarla pone un fare di cosa sospetta, quasi un tradimento dell'elemento nato per tutti, e diventato realtà posseduta dall'alto e da qualcuno che ne approfitta.  L'idea, comunque, rimane, come ideale di vita luminosa e accesa per la speranza, per avere un fare luminoso e illuminante, per credere in qualcosa al di là del buio. Accendo ancora oggi qualche idea, nella speranza che sia accolta e propagata per la luce in questo mondo di tenebra.

IL CAVATAPPI


Alleluia! Alleluia! Sono riuscito a stappare per poter avere momenti di allegria e di serenità, e il mio compito diventa una occasione di gioia e di festa, laddove tutto è bloccato. Sembro quasi quasi un essere umano che innalza al cielo il grazie per aver ottenuto il risultato sperato, e forse è proprio così. Basta poco infatti a noi per avere quel che desideriamo qui sulla terra, in fatto di vino; per quel che è divino, forse la cosa è un po' più complicata, e richiede qualche maggiore attenzione. Vorrei ricordare a tutti noi che con un gesto di abbraccio le cose cambiano alquanto, e se non risolviamo i nostri problemi, almeno li condividiamo in un momento di pausa dalle ansie e dalle turbe quotidiane che ci assillano e sembrano essere l'assoluto su di noi. Stappare un buon vino imbottigliato diventa per ognuno un fatto aggregativo e di consolazione, una specie di comunione di vino e che assimila anche al divino, al mistero della vita,  che tra uno stappare e un bere, prova un po' di piacere per sollevare la croce in un abbraccio di amicizia e di condivisione fraterna che profuma di sana umanità.

LO STRACCIO

Fino a poco tempo fa mi sentivo solo e soltanto un misero straccio, e nulla più di questo. Poi, un giorno, non so che né perché sia successo, c'è stata come una folgorazione, una luce abbagliante, proprio mentre mi hanno gettato nell'acqua per risciacquarmi e ripulirmi per bene. Mi sono infatti detto: io do il mio contributo, sì; ma anche gli altri per me fanno tanto: mi fanno ritornare a essere quel che sono, dopo essere passato sulla terra e essermi imbrattato delle sozzure del mondo intorno. Questo passaggio dallo sporco al pulito, questo rinnovamento di me, della mia identità salvata che stava per essere infangata, ni ha aperto gli occhi e fatto gustare pienamente la mia umile ma utile vocazione: lasciarsi rinnovare per rinnovare. Tutto lo sporco può essere su di me, ma niente di esso  verrà lasciato una volta che sono stato sciacquato: che bella e stupenda vocazione la mia missione!

L'AGO

Non sono mai stato al lago, forse perché chi mi infila sta sempre in casa per la veneranda età, o forse perché mi tocca infilarmi sulla siringa per la sanità. Chissà se un giorno potrò sfilarmi qualche ora dalla situazione e vivere un po' più in libertà la mia vocazione. Per carità, non è che sono irrealizzato, no. Va bene anche così. Dico solo che un ago, se non punzecchia e non stuzzica la propria situazione, al lago non tenderà nemmeno mai. Ecco, vorrei dire che tendo a qualcosa di oltre, di nuovo e di inatteso, che mi impedisca di essere relegato a giacere in una scatolina con altri, in attesa della scelta adatta alla cucitura o alla puntura. In quella situazione che stagna, la scatolina non vi pare sia anche una bara? Un mio amico lavora in un settore di una certa novità, infatti, una specie di settore di salute e bellezza, e trattasi di agopuntura. Lui dice che perlomeno qualcosa di diverso dal solito c'è in quella situazione. In attesa di questo, se qualcuno mi tirasse fuori ogni tanto dal pagliaio e mi portasse al lago, gliene sarei puntualmente e pungentemente grato.  

IL TAVOLO

 
Tutti attorno a me, a ritrovarsi per il cibo, o per il lavoro; qualcuno sta con me ore e ore in ufficio, e tutti loro sanno di poter contare su di me per le loro attività; anche per il gioco mi hanno reso tavolo apposito e speciale; pensate che anche nella religione, mi han dato una tale importanza che...beh, lasciamo perdere. La questione di fondo è che la mia partecipazione è sempre centrale e basilare, ma io vorrei ogni tanto andarmene via da questa situazione che, anche se è la mia vocazione, forse potrebbe essere vissuta con un po' più di libertà. Cosa intendo? Ditelo al mio parente che sta al mare, tra le onde, a divertirsi e a spassarsela sulla cresca dei cavalloni del surf! Non dico che un tavolo ha diritto al volo, a innalzarsi al cielo. No, questo no; sarebbe un tradimento della vocazione. Ma la possibilità di spiccare ogni tanto un piccolo volo al di là della mia funzione, questo sì. Mi basterebbe essere stabile e duttile anche solo una volta come tavolo da pic-nic e godermi un po' l'avventura nel mondo.
 

LO STURALAVANDINO

Quando tutto è otturato, ecco, allora sono chiamato, e solo allora; poi, quando tutto è sistemato, neanche un grazie, né un saluto, e più nessuno si ricorda di me, fino a nuovo inghippo. Quanto manca in questo mondo la riconoscenza! Basta poco per valorizzare le nostre azioni, tirarci un po' su di morale; invece, sono io che tiro su tutto ciò che ingolfa e intasa, impedendo l'infarto del sistema; ma poi, resto lì accantonato. Sturo e estraggo dal sistema tutto ciò che lo sta intasando, e così tutto scorre a gonfie vele! E' una bella soddisfazione, non vi pare? Eppure, me la devo tenere solo per me, invece di poterla condividere. Ma, in questo mondo, ormai la condivisione appare un miraggio; ci si preoccupa solo che tutto vada giù bene dal lavandino; e quando questo non va per il verso giusto, ecco che chiamano in causa ma come il tappabuchi della situazione - o meglio, lo sturabuchi - per ricreare quel vuoto del sistema che se da una parte garantisce il giusto scorrere delle realtà, dall'altra esprime il vuoto di questa fragile e irresponsabile generazione umana.

LA PORTA


Dai, Tino, non metterla giù così dura! Se è vero che sei uno zerbino di non tanto valore, devi anche riconoscere che con me vicina non sei mai solo! Non trascurare la mia amicizia! Se è vero che a nessuno importa di te, come dici, devi anche veder l'eccezione nella porta che ti sta davanti, e alla quale importa tanto l'amicizia con te! E poi, senti, caro Tino: tu sarai anche di poco valore, ma guarda a me: io sono di valore prezioso, di un legno pregiato e di grande fattura; ma senza di te, anch'io sarei sola, senza nessuno. Tutti passano da me, ma nessuno si ferma a me, se non sostando vicino per le sue cose. E poi, apro e chiudo, ma oltre questo, qual è la mia funzione? Come te, non vivo in questa casa, e se ci vivo qualche volta, lo faccio solo come un passaggio. Tutti passano da me, ma chi sta con me, oltre a te, caro Tino? E allora, coraggio, rafforziamo la nostra amicizia! Condividendola, tu mi porterai con i tuoi sogni come tappeto volante; e io, da parte mia, aprirò ogni porta ai tuoi pensieri! E chissà che anche da questa casa venga un po' più di considerazione della nostra presenza!

LO ZERBINO


Mi chiamo Tino, e faccio lo zerbino. Tutti mi passano sopra, qualcuno mi sbatte, mi fregano, mi spostano a loro piacere. Passano da me lasciandomi il loro sporco, entrano dentro una casa puliti e poi escono a riprenderselo. E io, qui in mezzo! Son sempre lì, mai mi sposto, solo gli altri metto a posto! Bei tempi, quelli dei Persiani, quando i miei avi erano decorati a puntino, e resi preziosi, e di grande valore! Qualcuno anche oggi cerca di imitarli, quei preziosi, ma sono ben pochi quelli di grande valore e tanti quelli di imitazione! E poi, quelli ancor più avi, quelli volanti? Ora non ce ne sono più, se non in fantasia! E anch'io, ogni tanto, sogno un po' a occhi chiusi - quando passano su di me - e un po' ad occhi aperti - quando non c'è nessuno sopra di me - di poter un giorno volare nel cielo, su in alto. Ma intanto, ad ogni risveglio, il mio esser qui sotto mi richiama all'ordine, ad accogliere con un mesto benvenuto chi è atteso a questo uscio. Ecco, ecco che ne arriva uno di corsa e con le scarpe tutte sporche! A me la terra e il fango, ospiti inattesi, e per voi eccomi pronto per aprirvi la porta del cielo!

IL BOCCALE



Vedermi così vi fa sgorgare un sorriso e anche un po' di acquolina per gustare della buona birra, che io porto volentieri alla vostra bocca… Ma se penso ai tempi che furono, quelli del passato, dove un mio cugino non se ne stava affatto in bella vista accattivante su di un banco, ma nascosto sotto un letto della stanza, in attesa degli escrementi e delle urine - certo un utilissimo servizio da parte sua - quale umiltà! Quale e quanta umiltà e devozione alla sua vocazione! Io oggi non so se ce la farei a ripetere quella funzione tanto sgradevole! Ma per fortuna i tempi sono cambiati, e anche le funzioni! Oggi accostarsi con la bocca ai miei bordi è quasi un onorare, una devozione da parte del bevitore, che degusta e apprezza, e mai disdegna, anzi spesso raddoppia la sua dose da attingere a me. E' un alto gradimento, un riconoscimento, un apprezzamento che mai quel mio cugino della cascina di campagna si sarebbe sognato di avere!

IL TAPPO


Salve, sono il Tappo.
Tappo e stappo, chiudo e apro, tengo e lascio, sto e poi vado.
Son piccolo, ma utile, e non me ne vanto; ma so che la mia vocazione è lasciarmi guidare e mai comandare; forse che sia santa obbedienza? No, è solo piena libertà del sentirsi ora utile e ora inutile, a seconda della situazione. Già, è quella la vera comandante, quella che decide per me se stare o perdermi via. Questa mia provvisorietà forse sembra cattività o passività - o peggio, inutilità - ai vostri occhi. Ma il sentirmi prima preso e stretto in angustia e poi liberato di colpo e volato via a mo' di missile, mi dà il senso di tutto di me. Sì, dopo la stasi e la stabilità nel buio di cantine immerse nelle solitudini dei vini, poter anche solo per un ultimo attimo di me provare l'ebbrezza della vitalità e dello sprizzar via, dopo essere stato immobile per così tanto tempo, in quell'attimo sento di essere nel nulla del mio paradiso, perdendomi nel mio volo verso l'immensità, l'eternità, passando dal profumo di un vino ben tenuto, a un profumo divino ora ottenuto.